la produzione e la raccolta delle olive non sono esenti da varie tipologie di rischi per la tutela degli operatori. E la frequenza degli incidenti dipende non solo dal fatto che spesso gli oliveti sono ubicati su terreni difficili che non sempre permettono la meccanizzazione delle pratiche colturali, ma anche per la presenza, come spesso avviene in agricoltura, di personale non sufficientemente formato e consapevole dei rischi.
Per confermare i rischi di alcune pratiche lavorative e verificare le eventuali responsabilità in caso di infortunio, ci soffermiamo su una sentenza della Cassazione – la Sentenza n. 37148 del 05 settembre 2019 – che ha riguardato la caduta da una pianta durante la bacchiatura delle olive e le responsabilità per la presenza di prassi scorrette e l’assenza di idonei presidi per i lavori in quota.
Ricordiamo, a questo proposito, che la bacchiatura o abbacchiatura è un metodo di raccolta di frutti vari (noci, olive, castagne, …).
La ricostruzione dell’evento
Nella sentenza si indica che la Corte di Appello di Lecce “confermava la decisione del Tribunale di Taranto che aveva riconosciuto N.G., titolare dell'omonima ditta agricola, colpevole di reato di lesioni colpose gravi con inosservanza della disciplina antinfortunistica ai danni del dipendente H.G. per non averlo dotato di idonei mezzi di lavoro nel destinarlo all'attività di bacchiatura delle olive dagli alberi, attività che la persona offesa aveva svolto arrampicandosi sul tronco della pianta di olivo da cui era caduto riportando la frattura di alcune vertebre”.
In particolare il Giudice di appello confermava i profili di colpa ascritti in capo al datore di lavoro, “riconoscendo che il lavoratore era alla dipendenze della ditta dell'imputato, che l'attività di battitura delle olive era ricompresa nelle mansioni svolte e che era usuale che la stessa avvenisse mediante l'utilizzo di bastoni, anche arrampicandosi sulle piante, prassi di lavoro che si poneva in contrasto con la disciplina del lavoro da svolgersi in quota mediante l'impiego di scale e che la responsabilità dell'infortunio era certamente ascrivibile al datore di lavoro, il quale era solito fornire indicazioni sulle modalità di esecuzione dei lavori, tenuto altresì conto che nella specie era altresì mancata qualsiasi attività di vigilanza”.
I motivi del ricorso per cassazione
Contro la sentenza la difesa ha proposto un ricorso per cassazione con vari motivi:
- “con un primo mezzo di impugnazione lamenta difetto di motivazione in punto di accertamento della responsabilità dell'imputato;
- con una seconda impugnazione lamenta manifesta illogicità della motivazione evidenziando che gli ordini erano stati impartiti dal padre dell'imputato e che la responsabilità del prevenuto era stata desunta sulla base di elementi di fatto meramente congetturali o sulla base di dichiarazioni testimoniali assolutamente carenti e inattendibili e sulla base di prassi aziendali non certo riconducibili all'imputato”.
Veniamo alle considerazioni e alle decisioni della Corte di Cassazione.
Le indicazioni della Corte di Cassazione
Secondo la Corte di Cassazione la sentenza impugnata “non presenta alcuno dei vizi dedotti dal ricorrente, atteso che l'articolata valutazione da parte dei giudici di merito degli elementi probatori acquisiti rende ampio conto delle ragioni che hanno indotto gli stessi giudici a ritenere la responsabilità del ricorrente, mentre le censure da questa proposte finiscono sostanzialmente per riproporre argomenti già esposti in sede di appello, tanto che i motivi di impugnazione appaiono rivolgersi alla sentenza di primo grado, che tuttavia risultano vagliati e correttamente disattesi dalla Corte territoriale”.
Si indica che riguardo al profilo causale è indubbio che il lavoratore “era intento a svolgere un'attività che rientrava nel mansionario attribuitogli e che le direttive nella esecuzione delle opere erano state somministrate dal padre dell'imputato, già titolare dell'azienda che, sul punto non solo si era avvalso di regole invalse nello specifico processo lavorativo (bacchiatura delle olive rimaste sugli alberi dopo avere operato con i mezzi di raccolta meccanica), ma di prassi lavorative, di cui lo stesso testimone (padre dell'imputato) ammetteva l'esistenza, e che esso stesso ammetteva di avere utilizzato, con particolare riferimento a quella di salire sugli alberi per la sbattitura delle olive rimaste sulla piante. Sotto diverso aspetto risulta pacifico che al dipendente non venne fornita una scala per salire sulle piante, né tali scale erano presenti nelle dotazioni dell'azienda”.
E lo stesso N.G. non contesta “di essere stato il datore di lavoro dell'operaio infortunato, né sotto diverso profilo contesta che il genitore abbia somministrato direttive diverse da quelle concordate o da quelle usualmente da esso impartite sul luogo di lavoro (sul punto il teste N.S. ha riferito che le prescrizioni di lavoro utilizzate dal lavoratore erano del tutto conformi a quelle usualmente impartite da N.G.)”.
A questo proposito si ricorda, riguardo all’eventuale deduzione del comportamento abnorme del lavoratore, che la colpa del lavoratore eventualmente concorrente con la violazione della normativa antinfortunistica addebitata ai soggetti tenuti ad osservarne le disposizioni “non esime questi ultimi dalle proprie responsabilità, poiché l'esistenza del rapporto di causalità tra la violazione e l'evento-morte del lavoratore che ne sia conseguito o delle lesioni da questo riportate può essere esclusa unicamente nei casi in cui sia provato che il comportamento del lavoratore fu abnorme, e che proprio questa abnormità abbia dato causa all'evento”. E la Suprema Corte ha precisato “che è abnorme soltanto il comportamento del lavoratore che, per la sua stranezza ed imprevedibilità, si ponga al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte dei soggetti preposti all'applicazione della misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro, e che tale non è il comportamento del lavoratore che abbia compiuto un'operazione comunque rientrante, oltre che nelle sue attribuzioni, nel segmento di lavoro attribuitogli (vedi sez. IV, 28.4.2011 23292; 5.3.2015 n.16397)”.
Non è poi in dubbio - il giudice di appello “ne ha dato conto in motivazione” - che il lavoratore “sia stato intento alla esecuzione di un compito allo stesso assegnato, né il fatto di arrampicarsi sulle piante per tentare di fare cadere le olive più resistenti o distanti da terra possa ritenersi comportamento assolutamente imprevedibile e abnorme, non risultando dal ricorso nessun elemento da cui inferire che il datore di lavoro avesse fornito specifiche prescrizioni inibitorie al riguardo o fornito mezzi che consentissero di operare in quota”.
Si evidenzia, infine, che gli obblighi che gravano sul datore di lavoro “non si arrestano alla fornitura ai dipendenti dei presidi volti ad assicurare la protezione dei singoli dipendenti ma, come prescrive la disposizione normativa la cui inosservanza è contestata nella imputazione, imponevano il controllo sulla utilizzazione dei suddetti dispositivi, poiché il datore di lavoro deve non solo predisporre le idonee misure di sicurezza ed impartire le direttive da seguire a tale scopo, ma anche e soprattutto controllarne costantemente il rispetto da parte dei lavoratori, di guisa che sia evitata la superficiale tentazione di trascurarle”.
Partendo da queste premesse la Corte di Cassazione indica che si presenta “perfettamente coerente” la conclusione cui sono pervenuti i giudici dell’appello, e cioè, che il ricorrente “deve ritenersi responsabile delle lesioni personali riportate dal H.G. in ragione di una palese violazione di specifiche disposizioni cautelari, come evidenziato dai giudici di merito con tessuto argomentativo congruo ed adeguato che si fonde, integrandosi, nelle due motivazioni”.
In deFinitiva il ricorso è rigettato e il ricorrente “va condannato al pagamento delle spese processuali”.
Corte di Cassazione Penale, Sez. 4 – Sentenza 05 settembre 2019, n. 37148 - Caduta dalla pianta durante la bacchiatura delle olive. Prassi scorretta e mancanza di presidi per i lavori in quota.