Ai fini dell’applicazione del d. lgs. 81/08 sono da intendersi quali luoghi di lavoro quelli destinati a ospitare posti di lavoro ubicati all’interno di un’azienda nonché ogni altro suo luogo accessibile ai lavoratori nell’ambito del proprio lavoro.
È la nozione di “luogo di lavoro” l’oggetto di questa sentenza della Corte di Cassazione che ha riguardato il ricorso presentato dal datore di lavoro di un’impresa che ha installato in un condominio un serbatoio di gas GPL e un impianto di distribuzione dello stesso alle varie unità abitative e che è stato contravvenzionato dall’organo di vigilanza per non avere apposta l’apposita segnaletica e per non avere adottato le misure di sicurezza a protezione dei propri lavoratori dipendenti. Il datore di lavoro era ricorso alla Cassazione sostenendo che non era lui il responsabile delle violazioni contestate ma il proprietario delle utenze servite in quanto i luoghi frequentati dai suoi lavoratori non erano da considerarsi luoghi di lavoro ai fini dell’applicazione delle disposizioni di cui al D. Lgs. n. 81/2008 e s.m.i. e quindi non erano sottoposti al suo controllo.
La Corte di Appello e successivamente la Corte di Cassazione hanno sostenuto il contrario alla luce della definizione che di luogo di lavoro ha dato la giurisprudenza in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Nel rigettare il ricorso dell’opponente la suprema Corte ha precisato infatti che quali luoghi di lavoro devono intendersi, ai fini dell’applicazione delle disposizioni di cui al D. Lgs. n. 81/2008, i luoghi destinati a ospitare posti di lavoro ubicati all’interno di un’azienda o di un’unità produttiva della stessa nonché ogni altro luogo di pertinenza dell’azienda medesima accessibile ai lavoratori nell’ambito della propria attività lavorativa.
L'area nella quale era stato collocato l'impianto, ha osservato in merito la Cassazione, benché di proprietà di terzi, era accessibile ai lavoratori della ditta di distribuzione del gas per ogni suo intervento di manutenzione o riparazione sullo stesso che si fosse reso eventualmente necessario e dunque essa doveva essere ricompresa nella nozione di luogo di lavoro, nella quale, il responsabile della ditta, avrebbe dovuto adempiere ai prescritti obblighi di sicurezza posti a tutela della salute dei suoi lavoratori. Né si poteva pensare, ha sottolineato la suprema Corte, che i proprietari dell’area non avessero consentito alla ditta ricorrente l'ingresso del proprio personale al fine di eseguire i necessari interventi di modifica o di manutenzione sull'impianto, essendo quest'ultimo concretamente utilizzato da loro.
Il caso, l’iter giudiziario e il ricorso per cassazione
La Corte di Appello ha confermata la sentenza con la quale il Tribunale aveva condannato il legale rappresentante di un’impresa di istallazione e manutenzione di impianti di distribuzione di gas alla pena, condizionalmente sospesa, di venti giorni di arresto in quanto ritenuto colpevole, con le attenuanti generiche, della contravvenzione di cui agli artt. 46, comma 2, e 55, punto 5, lett. c), del D. Lgs. 9/4/2008 n. 81 per non aver adottato idonee misure per prevenire gli incendi e per tutelare l'incolumità dei lavoratori.
In seguito a un sopralluogo eseguito dall’organo di vigilanza presso un condominio erano emerse delle violazioni della normativa di sicurezza, come l'assenza di estintori e di segnaletica di sicurezza, in relazione all'impianto di distribuzione del gas e al serbatoio interrato a monte dei contatori privati, serbatoio che, dagli accertamenti svolti, era risultato nella titolarità e in gestione della stessa ditta di distribuzione del gas. Gli accertatori avevano, pertanto, redatto un foglio di prescrizioni nei confronti della ditta, affinché si uniformasse alla normativa di sicurezza, ritenendo che la tubazione e il serbatoio di GPL dovessero intendersi quale pertinenza aziendale della ditta stessa.
Secondo la Corte territoriale, non poteva condividersi quanto dedotto in sede di appello dall'imputato, secondo cui l'obbligo di mantenimento di estintori efficienti, di cartelli di segnalazione, del posizionamento di idonei manufatti atti a impedire la carrabilità dell'area di installazione del serbatoio sarebbe stato a carico del proprietario dell'area, identificato con l'utilizzatore dell'impianto, non potendo il sito in cui insistevano la tubazione e il serbatoio/deposito di GPL essere considerato come "luogo di lavoro", né come "pertinenza dell'azienda", essendo l'area in questione privata e in uso al proprietario dell'immobile e come tale inaccessibile all'imputato.
Secondo la sentenza impugnata, infatti, la mancanza di estintori e della segnaletica di sicurezza costituivano addebiti riferibili alla società che aveva installato l'impianto e che ne rimaneva proprietaria, essendo stato concesso ai privati il mero comodato d'uso del serbatoio e non potendo condividersi la tesi difensiva dell'inaccessibilità, da parte della ditta, all'area in cui era stato collocato l'impianto, in quanto gli inadempimenti contestati riguardavano il momento in cui erano stati collocati, ferma restando l'ovvia concessione dell'autorizzazione all'ingresso da parte del proprietario dell'area ove la ditta lo avesse chiesto per compiere gli interventi di modifica dell'impianto o della sua manutenzione.
Quanto, poi, alla nozione di "luogo di lavoro", la Corte territoriale ha osservato che, ai sensi dell'art. 62 del D. Lgs. n. 81/2008, hanno tale qualifica "i luoghi destinati a ospitare posti di lavoro, ubicati all'interno dell'azienda o dell'unità produttiva, nonché ogni altro luogo di pertinenza dell'azienda o dell'unità produttiva accessibile al lavoratore nell'ambito del proprio lavoro". Ed essendo evidente che il luogo in cui era stato collocato l'impianto era frequentato dai lavoratori dell’impresa di manutenzione per ogni suo necessario intervento, esso doveva essere ricompreso nei luoghi per i quali erano previsti gli obblighi di sicurezza a tutela della salute dei lavoratori. Tanto più che l'impianto in questione, pur installato in un’area privata, era di proprietà dell’impresa, per cui l'attività di manutenzione o modifica doveva ritenersi di competenza del lavoratori della società proprietaria, che avrebbero potuto operare in un sito nel quale dovevano essere rispettate le norme per la sicurezza del lavoro.
Avverso la sentenza di appello l’imputato ha proposto ricorso per cassazione per mezzo del difensore di fiducia deducendo lamentando che la decisione impugnata aveva erroneamente considerato come pertinenza aziendale della ditta non già il solo serbatoio, quanto piuttosto l'intero deposito del GPL, costituito dal serbatoio, dalle tubazioni di distribuzione e dal vano contatori, in realtà di proprietà di terzi, come emerso anche dal verbale dei Vigili del Fuoco del Comando Provinciale intervenuti. I Giudici di merito pertanto, secondo il ricorrente, avrebbero errato nel ritenere che l’area dell’impianto potesse essere qualificata come "luogo di lavoro", non trattandosi di una pertinenza dell'azienda e non rientrando la stessa, proprio in quanto privata, nella sua disponibilità.
Le decisioni della Corte di Cassazione
Il ricorso è stato ritenuto da parte della Corte di Cassazione inammissibile. La stessa ha innanzitutto osservato che la difesa dell'imputato non aveva contestata la mancata adozione delle misure antincendio limitandosi il ricorso. al contrario, a dedurre che l'area in cui insisteva l’impianto di GPL non potesse essere qualificata come "luogo di lavoro", non trattandosi di una pertinenza dell'azienda e non rientrando essa, proprio in quanto privata, nella disponibilità del datore di lavoro, quanto piuttosto in quella del privato, su disposizione del quale sarebbe stato possibile l'accesso. Tale prospettazione, ha osservato la Corte, è manifestamente infondata, alla luce della giurisprudenza sulla nozione di "luogo di lavoro". La restrittiva previsione dettata dall'art. 62 del D. Lgs. n. 81 del 2008, infatti, a mente del quale hanno tale qualifica "i luoghi-destinati a ospitare posti di lavoro, ubicati all'interno dell'azienda o dell'unità produttiva, nonché ogni altro luogo di pertinenza dell'azienda o dell'unità produttiva accessibile al lavoratore nell'ambito del proprio lavoro", è destinata a trovare applicazione soltanto in relazione alle disposizioni contenute nel Titolo II del predetto decreto, tra le quali non rientra l'art. 46, comma 2, del D. Lgs. n. 81 del 2008. Viceversa, ai fini dell'applicazione di tale norma generale, “ogni tipologia di spazio può assumere la qualità di ‘luogo di lavoro’, a condizione che ivi sia ospitato almeno un posto di lavoro oppure che esso sia accessibile al lavoratore nell'ambito del proprio lavoro”.
Ne consegue che, essendo l'area nella quale era stato collocato l'impianto accessibile ai lavoratori della ditta di manutenzione per ogni intervento da effettuare sull’impianto che si fosse reso eventualmente necessario essa doveva essere ricompresa, alla luce della delineata cornice di principio, nella nozione di luogo di lavoro, nella quale, il responsabile della ditta, avrebbe dovuto adempiere ai prescritti obblighi di sicurezza posti a tutela della salute dei lavoratori. Né alcuna specifica situazione di inesigibilità del relativo comando avrebbe potuto configurarsi, come condivisibilmente osservato dalle due sentenze di merito, a partire dalla presenza dell'impianto in un'area privata, non potendo ragionevolmente dubitarsi che i proprietari della stessa avrebbero certamente consentito l'ingresso al personale della ditta al fine di eseguire i necessari interventi di modifica o manutenzione dell'impianto, essendo quest'ultimo concretamente utilizzato dagli stessi proprietari, fermo restando che l'imputato non ha offerto alcuna concreta dimostrazione che detti interventi fossero stati impediti o in qualche modo ostacolati dalla descritta situazione giuridica dell'area.
Sulla base delle considerazioni sopra indicate, la Corte di Cassazione ha, pertanto, dichiarato il ricorso inammissibile e ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonché al versamento della somma di 2.000 euro in favore della cassa delle ammende.
Fonte: Puntosicuro