Un intervento si sofferma sull’importanza del documento di valutazione dei rischi nel riconoscimento delle sospette malattie professionali. Il riconoscimento delle malattie, la normativa, l’onere di provare il nesso causale e la valutazione dei rischi.
Un buon documento di valutazione dei rischi (DVR) non solo promuove e orienta l’evoluzione del sistema prevenzionistico permettendo di pianificare, gestire e verificare la sicurezza e la salute dei lavoratori, ma come vedremo può essere uno strumento importante anche per il riconoscimento delle malattie professionali, malattie che si possono definire, come abbiamo ricordato più volte nei nostri articoli, come degli stati morbosi che possono essere posti in rapporto causale con lo svolgimento di una qualsiasi attività lavorativa e che sono caratterizzati da una graduale e progressiva azione di fattori presenti nell'ambiente di lavoro che possono compromettere la salute dei lavoratori.
A ricordare l’importanza dei documenti di valutazione del rischio e a fornire spunti per migliorare il livello di riconoscimento delle denunce di malattia professionale, è un intervento che si è tenuto all’incontro “ Documenti di valutazione del rischio e prevenzione: criticità e opportunità” (Milano, 5 aprile 2019), organizzato dalla Fondazione IRCCS Cà Granda.
La situazione del riconoscimento delle malattie professionali
L’intervento “L’importanza del DVR nel riconoscimento delle sospette malattie professionali”, a cura di Claudia Sferra (Inail, Dirigente medico di II livello Direzione Territoriale Monza e Brianza), si sofferma sull’attuale “sistema misto” riguardo al riconoscimento delle malattie professionali (MP). Un sistema che – come ricordato nell’articolo “ Come avviene il riconoscimento di una malattia professionale” – presuppone due diverse possibilità:
- malattia professionale tabellata: se la malattia e la lavorazione sono previste in tabella (DM 9 aprile 2008, GU 21 luglio 2008), scatta la presunzione legale di origine professionale;
- malattia professionale non tabellata: se la malattia non è presente in tabella, la professionalità può essere riconosciuta, ma l’onere della prova è a carico del lavoratore che deve dimostrare l’origine professionale della patologia (Sentenze Corte Costituzionale n. 179 e 206 del 1988).
La relatrice indica che l’Inail “già dalla fine degli anni 90 ha stabilito di dover agire ‘un maggior impegno partecipativo nella ricostruzione degli elementi probatori del nesso eziologico, sia sul versante del rischio sia in termini medico-legali’.
Si indicano poi i compiti dell’ass.to (che, ad esempio, “deve produrre tutta la documentazione ragionevolmente acquisibile sul rischio e sull’esistenza della malattia”) e le attività dell’Inail (ad esempio in relazione all’invito a “presentare nuova documentazione” o all’acquisizione “d’ufficio di indagini e documenti altrove presenti”).
Riguardo poi alle differenze di trattazione fra malattie professionali tabellate e malattie professionali non tabellate, si ricorda che si ha “la presunzione legale di origine ‘piena’ solo per le tecnopatie cosiddette tipiche cioè quelle che presentano ‘in aggiunta alle caratteristiche della malattia comune, quelle peculiari della MP…’”.
Tuttavia “oggi prevalgono malattie paraprofessionali “così definite per la loro possibilità di riconoscere indistintamente causa ‘comune’ e causa professionale e che possono riconoscere eziologia multifattoriale”.
E questo comporta, “ai fini del riconoscimento di una genesi professionale:
- Identificare fra i diversi antecedenti concausali il possibile ruolo giocato dal lavoro;
- Stabilire se a questo possa attribuirsi un valore di concausa giuridicamente rilevante”.
La normativa e l’onere di provare il nesso di causa fra esposizione e patologia
La relatrice ricorda poi che la «nuova» tabella delle malattie professionali ( DM 9 aprile 2008) “ricomprende alcune malattie multifattoriali in particolare quelle da SBM” ( sovraccarico biomeccanico) e si chiede se la tabellazione “rende il compito più facile”. “Cosa è cambiato con l’emanazione delle ultime tabelle”?
Con riferimento anche alla circolare INAIL n. 47 del 24 luglio 2008 (“Nuove tabelle delle malattie professionali nell’industria e nell’agricoltura. D.M. 9 aprile 2008”) si segnala che “molte delle patologie che nella tabella previgente erano indicate con la definizione generica di ‘malattie causate da…’ sono state specificate in modo dettagliato con la denominazione della patologia tabellata”. E “la tipizzazione delle patologie nel senso sopra specificato rende più efficace l’operatività della presunzione legale di origine”.
Inoltre ‘allo scopo di non produrre un arretramento del livello di tutela’ è stata inserita, per alcuni agenti patogeni, la voce ‘altre malattie causate da esposizione’ ai suddetti agenti.
‘In questi casi, come nelle tabelle previgenti, le previsioni tabellari indicano la sostanza patogena senza definire la patologia e, dunque, la malattia può ritenersi tabellata solo a seguito della PROVA che sia stata cagionata dall’agente in tabella’.
E per la stessa fase di “MP non TAB” ( malattie professionali non tabellate) “devono passare le molte malattie nosologicamente definite per le quali la tabella indica la generica dizione di ‘lavorazioni che espongono’” (vedi punto d prima tabella).
Per tutte le ipotesi previste dalla tabella “con la dizione ‘altre’ sia in riferimento alla patologia che alla lavorazione che espone occorre la prova della derivazione etiologica dal lavoro. Insomma la tabella contiene malattie considerabili ‘comuni’ sino alla prova della origine lavorativa”.
Ma “su chi grava l’onere di provare che l’altra malattia è correlabile alla lavorazione tabellata? Che la lavorazione non descritta espone alla noxa (il danno, ndR) lesiva?
Bisogna ‘ricostruire’ “il nesso di causalità materiale fra noxa lavorativa e malattia scindendo due momenti:
- accertamento dell’idoneità lesiva della noxa lavorativa
- riconduzione a detta noxa della patologia denunciata”.
E questo “impegnando due diversi criteri accertativi del nesso di causalità materiale”.
Si indica che “per poter affermare l’effettiva potenzialità nociva della noxa, desumibile anche dall’esistenza di una ricorrenza statistico epidemiologia dell’associazione causale tra essa ed una determinata malattia di rilievo tale da poter configurarsi quale ‘legge di copertura’, la criteriologia dovrà evidentemente basarsi sul principio civilistico dell’ id quod plerumque accidit (causalità adeguata): è causa quell’antecedente dotato di caratteristiche modali, qualitative e quantitative idonee a produrre quel determinato evento”.
E “accertato che a quell’antecedente morbigeno lavorativo del tutto frequentemente si associa quella determinata malattia che notoriamente riconosce eziologia multifattoriale, si dovrà applicare il principio penalistico della conditio sine qua non o dell’equivalenza delle cause: causa è quell’antecedente che ha comunque concorso alla produzione dell’evento seppure con una efficienza marginale rispetto a quella propria degli altri”.
Più semplicemente si indica che ai fini assicurativo-previdenziali INAIL “il nesso di causa fra esposizione a rischio e patologia deve essere affermato attraverso la ricorrenza di un rischio idoneo nel dove, quando, quanto e come (adeguatezza causale) a determinare la patologia diagnosticata pur in concorso con fattori extraprofessionali (equivalenza causale)”. E in ultima analisi, l’onere della ricostruzione grava sul medico.
L’importanza del documento di valutazione dei rischi
Veniamo, infine, al documento di valutazione dei rischi.
Si indica che tra gli strumenti disponibili in queste fasi – a parte l’anamnesi lavorativa e patologica, la eventuale richiesta di parere all’Inail, l’esito di visite di sorveglianza sanitaria, gli esami obiettivi, … - c’è il documento di valutazione dei rischi.
In particolare “per la valutazione dell’adeguatezza della Esposizione (continuità, intensità e durata) al fattore patogeno il DVR è ovviamente lo strumento fondamentale (per le fattispecie in cui deve essere redatto)”.
Tale documento – “redatto dal datore di lavoro con la collaborazione del RSPP, del MC, del RLS (qualora presente)” - descrive infatti:
- tutti i potenziali rischi per la sicurezza e la salute che esistono sul quel determinato luogo di lavoro, indicando le modalità con cui essi sono stati individuati;
- la specificazione delle misure di prevenzione e protezione volte ad eliminare o ridurre tali rischi e le procedure e le figure coinvolte per attuarle
- l'individuazione delle mansioni da cui possono derivare eventuali rischi (e livelli espositivi) e, dunque, note le mansioni degli addetti, anche l’individuazione degli esposti”.
Si indica inoltre che “troppo spesso per diverse aziende afferenti a comparti produttivi anche assai diversi” si leggono “identiche descrizioni. Troppe volte non v’è congruenza fra il narrato dell’assicurato e il contenuto del DVR”.
In definitiva, conclude la relatrice, se il DVR – primo strumento di prevenzione nei luoghi di lavoro – “è vero fino a prova contraria”, “il lavoratore ha facoltà di provare eventuali difformità fra il rischio valutato e quello effettivamente gravante”.
Riferimento:
Claudia Sferra (Inail, Dirigente medico di II livello Direzione Territoriale Monza e Brianza) - L’importanza del DVR nel riconoscimento delle sospette malattie professionali - intervento all’incontro “Documenti di valutazione del rischio e prevenzione: criticità e opportunità”.
Fonte: Puntosicuro