Si presenta un documento sulla promozione della salute nei luoghi di lavoro si sofferma sul tema dell’invecchiamento dei lavoratori, sulla convenienza degli investimenti, sulle esperienze regionali e sulle eventuali criticità relative ai programmi WHP.
Invecchiamento della popolazione lavorativa e promozione della salute
Riguardo al tema dell’ invecchiamento della popolazione lavorativa gli autori sottolineano che è ormai necessario “cogliere tutte le opportunità per migliorare l’integrazione tra salute, igiene e sicurezza sul posto di lavoro e gli aspetti della promozione della salute”. E questo anche per garantire che “le iniziative di WHP non siano attività isolate, ma parte di un intervento molto più ampio per migliorare la salute in un’ottica di Total Worker Health” (TWH), cioè di programmi, pratiche e politiche che hanno l'obiettivo di promuovere il benessere globale del lavoratore.
Si ricorda poi che i principali ostacoli agli interventi di successo di WHP “sono generalmente individuati nella scarsa consapevolezza della relazione fra i fattori che influenzano la capacità lavorativa (ad es. condizioni, stile di vita, ecc.) e l’età. Ed in Europa è ormai diffuso, un nuovo approccio in cui la qualità della vita degli anziani deve tenere conto degli effetti, tra loro sovrapposti, dovuti all'invecchiamento, all’attività lavorativa e alle condizioni di salute”.
Il documento segnala poi che, in tema di invecchiamento, “alcuni esempi di buone prassi dimostrano che i costi degli investimenti nella promozione della capacità lavorativa sono compensati dai benefici, le persone possono continuare a lavorare in modo produttivo, l’ambiente di lavoro migliora, la produttività aumenta e i problemi legati all’età diminuiscono”. Infatti alcuni studi di analisi costi-benefici indicano che “il ritorno di utili rispetto al capitale investito (Return of Investment - ROI) possono essere molto buoni: l’utile su 1 EUR investito è pari anche a 3-5 EUR dopo alcuni anni. Il ROI positivo si basa sui bassi tassi di assenza per malattia, sulla riduzione dei costi dovuti a disabilità al lavoro e una migliore produttività”.
E si è compreso che buone condizioni di lavoro possono contribuire nel mantenere lo stato di salute “soprattutto se sono instaurate fin dalle età più giovani”.
In questo senso la Commissione Europea “ha sottolineato l'importanza per le aziende di investire sul capitale umano, sull'ambiente, sul rapporto con il territorio in cui è inserita e con tutte le parti interessate, considerando queste attività un investimento per migliorare sia l'ambiente di lavoro sia l'immagine dell'azienda e dei prodotti in termini di marketing”.
Le esperienze regionali e il ruolo delle aziende USL
Come abbiamo accennato a inizio articolo, il documento riporta anche indicazioni su diverse esperienze regionali in materia di promozione della salute nei luoghi di lavoro che vedono la collaborazione tra Pubblico (servizio sanitario) e Privato (associazioni datoriali e imprenditori).
E l’avvio di esperienze strutturate di questo tipo “può essere collocato nel 2011 quando l’Azienda Sanitaria di Bergamo, insieme all’articolazione locale di Confindustria con il patrocinio delle parti sindacali e di diversi partner istituzionali e scientifici, ha ideato e sperimentato un modello operativo del WHP”.
La strategia della promozione della salute nei luoghi di lavoro messa in atto – si racconta nel documento – “è stata orientata a dare a tutti i lavoratori le stesse opportunità di salute: l’azienda e i lavoratori diventano responsabili dell’attivazione (empowerment) di processi di salute ed il programma prevede una flessibilità di attivazione per garantire la massima adesione al setting locale di applicazione, anche in considerazione delle disuguaglianze di salute che sappiamo essere presenti nel mondo lavorativo (blu collars/white collars; livello di istruzione, condizione di immigrato, ecc)”. E successivamente “il modello è stato diffuso su tutto il territorio della Regione Lombardia, e prevede per le aziende un accreditamento annuale con il conferimento di uno specifico logo ‘Luogo di lavoro che promuove la salute’, assegnato a nome della Rete Europea ENWHP (European Network for Health Promoting Workplace)”. Tali aziende “iniziano un percorso che prevede la realizzazione di buone pratiche efficaci nel campo della promozione della salute per sviluppare l’attività fisica, offrire opportunità per smettere di fumare, promuovere un’alimentazione sana, ridurre l’assunzione di alcool e attuare misure per migliorare il benessere sul lavoro e oltre il lavoro”.
Rimandiamo alla lettura integrale del documento che riporta altre esperienze e che si sofferma ampiamente sul ruolo delle Aziende USL nei Programmi regionali di WHP, ricordando che, in ogni caso, gli interventi di promozione della salute nei luoghi di lavoro “non devono rappresentare percorsi alternativi a quelli di Prevenzione e Sicurezza, né rappresentare strumenti di ‘sconto’ rispetto agli obblighi normativi”.
I rischi e le criticità dei programmi WHP
Concludiamo questo approfondimento dei contenuti del documento CeRIMP con la sottolineatura, operata dagli autori, uno dei rischi che si corrono nel condurre esperienze di WHP. Il rischio “di un’adesione anche convinta da parte aziendale, ma vista come semplice ‘fringe-benefit’ per la propria manodopera”.
In altri termini – continua il documento – “il management aziendale può, in perfetta buona fede, essere soprattutto interessato a ‘far qualcosa’ per i propri dipendenti al fine, generico, di migliorarne l’attaccamento all’azienda e, indirettamente, il benessere al lavoro. Un lavoratore che si senta seguito dalla propria azienda in tanti aspetti della propria esistenza certamente gode di un benessere maggiore di quel lavoratore che non abbia tali attenzioni. Per i cultori della medicina del lavoro è facile riscontrare l’analogia con il cosiddetto ‘effetto Hawtorne’ o, in termini medici più generali, con una sorta di effetto ‘placebo’”.
Si indica, invece, che agli operatori pubblici, deve interessare “il vero end-point dell’azione intrapresa, cioè il guadagno di salute dei lavoratori coinvolti per effetto specifico dell’azione promossa”. E per garantire il raggiungimento di tale obiettivo “il follow-up diventa elemento indispensabile di qualsiasi proposta”. È dunque importante occuparsi della “verifica del raggiungimento degli obiettivi del programma attraverso strumenti di misura al follow-up”, come è avvenuto per l’esperienza di Bergamo.
Il documento riporta poi altre possibili criticità ricordando, in conclusione, come sia inevitabile che “nel condurre esperienze che vogliano contemperare i diversi approcci al tema della salute e del benessere dei lavoratori si creino tensioni e possano insorgere ostacoli di vario tipo”. Tuttavia ciò “non deve distogliere dall’obiettivo di costruire alleanze per ottenere la miglior tutela e la più attiva promozione della salute, bene primario a cui infine deve comunque ispirarsi l’azione umana in qualsiasi sua forma”.
Riferimento:
“ La promozione della salute nei luoghi di lavoro: sguardo storico, bilancio di esperienze, proposte e prospettive”, a cura di Donatella Talini (CeRIMP, Regione Toscana - Sede di Pisa) e Alberto Baldasseroni (già Responsabile del CeRIMP, Regione Toscana - Sede di Firenze) (formato PDF, 277 kB).
Fonte: Puntosicuro